Storytelling #2: i suoni della tessitura

admin   26 Luglio 2014   Commenti disabilitati su Storytelling #2: i suoni della tessitura

Raccontare un paese, un borgo, attraverso i colori, i profumi, i sapori, le tradizioni è arte avvezza a viaggiatori consapevoli e organizzati, attenti osservatori, buone forchette, nasi pregiati.

Ciò che tenteremo di fare, da fermi invece, ovviamente con un po’ di immaginazione “acustica”, è visitare l’intricato reticolo di vicoli di Longobucco partendo dai suoi suoni.

Chiacchiere di paese, campane, ma non solo. Fino a qualche anno fa, nelle ore più tranquille dei pomeriggi fermi di paese, era possibile udire ben distinta una decisa melodia. Un suono più o meno regolare, che accoglie tutte le sfumature calde del legno dei pini e dei faggi della Sila. Un ritmo scandito da terzine sincopate nel quale con attenzione (e immaginazione ndr) è possibile scorgere tutta la femminilità dello sforzo della tessitrice… Esatto, quello che avete “ascoltato”, era proprio il suono del telaio… Un suono che si sente sempre meno, ormai, ma che ha fatto grande un territorio, riconosciuto attualmente come culla della tessitura. Un territorio, nel quale la donna era pienamente protagonista della vita produttiva, diventando spesso anche esempio pionieristico di imprenditoria rosa. Un’imprenditoria basata in gran parte sulla “sussistenza”. Alla realizzazione, cioè, del corredo che ogni ragazza longobucchese portava in dote per il matrimonio. L’evoluzione naturale, vista la tenacia e la vigorosità delle donne Longobucchesi, fu orientarsi verso “eccessi di produzione” finalizzati al commercio, o addirittura casi di vera e propria realizzazione “industriale” a scopo commerciale, con la “conversione” delle “vinedde” (vicoli) a veri e propri distretti produttivi. Ogni “ruga” (quartiere) aveva dunque a disposizione delle proprie tessitrici, un orditoio comune utilizzato per la preparazione e l’intreccio dei fili da inserire nei telai in fase di allestimento. La conoscenza, l’utilizzo dei telai e dei suoi punti particolari e a volte unici, (il know-how per mantenere il paragone aziendale) era salvaguardata e tramandata dalla madre alla figlia, ottimo esempio di investimento nella formazione. Una azienda a tutti gli effetti, quella della tessitura Longobucchese, capace storicamente, anche di innovare e ricercare, attraverso l’utilizzo di fibre “nuove” resistenti e sostenibili come la ginestra. Una azienda, che purtroppo, sta fallendo, tenuta in vita soltanto da pochissime donne, che non hanno più la forza, e soprattutto gli stimoli per andare avanti. Sviluppare un territorio partendo dalle tradizioni vuol dire proprio questo. Stimolare e favorire l’impresa nell’intercettare la domanda di qualità, di cultura, di turismo. L’unicità dei tessuti di Longobucco, dunque, non deriva soltanto sulla varietà delle trame, dalla particolarità delle fibre utilizzate, né dall’oggettiva bellezza dei capi. Non soltanto quantomeno. Ciò che fa dei tessuti di Longobucco, vere e proprie opere d’arte, è dunque la manualità, la professionalità, il lavoro delle artigiane. In ogni intreccio di fili c’è l’impegno di una donna. In ogni capo, è custodita la storia, l’identità, perché no, i segreti di una famiglia e di persone che tra le trame dell’ordito trovavano il tempo per essere (e spesso per dover essere) grandi donne, ottime madri, eccellenti tessitrici. 

 

Fagir

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